Nel ventesimo secolo si registra una profonda evoluzione del concetto di bene culturale, sia dal punto di vista normativo che dal punto di vista della conservazione.

Nel 1939 la Legge Bottai consegna alla Nazione un testo organicamente maturo per la “ tutela di delle cose di interesse artistico e storico”. La legge Bottai disciplinava le cose d’arte ai fini della conservazione statica (di qui vincoli, divieti d’alienazione ecc…), riservando una collocazione marginale sia alla tutela di tipo dinamico (manutenzione, prevenzione, restauro) che alla fruizione-valorizzazione. In essa, le cose d’arte venivano considerate come un oggetto da tenere al riparo dal contatto con l’esterno. Mancava una  disposizione che caratterizzasse in positivo la funzione sociale del nostro patrimonio culturale disponendo in ordine  ai modi di valorizzazione, ovvero incentivando i privati a migliorare la conservazione dei beni in loro possesso. La sostituzione della nozione di cose d’arte in beni culturali, introdotta per la prima volta dalla Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato firmato a l’Aia il 15 maggio del 1954, soddisfaceva l’esigenza di superare la concezione materiale ed estetizzante degli anni trenta in favore di una visione che privilegiasse il valore culturale che si impregna, saldandosi, in una determinata res, con significative conseguenze: il passaggio dalla cosa al bene (collegato all’attributo culturale) fa sì che l’interesse dell’ordinamento trascenda la situazione giuridica soggettiva, riconducibile al diritto di proprietà, per investire la sfera degli interessi di natura immateriale e pubblica, e ciò sul presupposto che si tratti di un bene idoneo a soddisfare le aspettative culturali della comunità. La variazione terminologica da cosa a bene mostra che l’in sé della nuova categoria non è costituito dall’oggetto materiale, bensì dall’immateriale funzione di accrescimento delle conoscenze e di miglioramento della personalità dell’individuo.

Nel campo del restauro la figura di Cesare Brandi segna dei punti di riferimenti assoluti sul concetto di conservazione, in linea con ciò che accade nel diritto.

L’evoluzione del concetto di bene culturale, di conservazione dello stesso e l’evoluzione della tecnologia cambiano il sistema dell’arte.  I critici d’arte devono osservare l’opera anche attraverso la lente delle analisi diagnostiche (raggi x, riflettrografia Uv,ect.). Per ciò che concerne la perizia sarà l’esperto a richiedere delle eventuali analisi, vediamo le principali:

Le analisi diagnostiche si dividono in distruttive e non invasive.

 

Distruttività e invasività

Si considerano distruttivi quei metodi diagnostici che non preservano l’integrità strutturale e funzionale del manufatto e/o dei suoi materiali componenti; di conseguenza devono essere considerate distruttive tutte quelle indagini che prevedono prelievi di campioni dal manufatto. Sono, invece, paradistruttivi i metodi che, pur richiedendo un prelievo di materiale, permettono poi analisi ripetute sul campione che rimane integro e dunque resta disponibile anche per indagini di altra natura.

 Si definiscono non invasive quelle indagini che non introducono alterazioni dello stato fisico-chimico del manufatto con conseguente accelerazione dell’invecchiamento. Il carattere non invasivo di una tecnica corrisponde alla sua capacità di non alterare l’equilibrio termodinamico del sistema indagato perturbandolo con scambi energetici. Sono, quindi, analisi rigorosamente non invasive soltanto quelle che non interferiscono con i processi di scambio già normalmente attivi nel sistema manufatto-ambiente. Le analisi visive, che non prevedano l’impiego di sorgenti luminose dedicate, sono esempi di indagini non invasive.

Le principali:

 

Fluorescenza ultravioletta

 

L’analisi della fluorescenza Uv viene condotta mediante la lampada di Wood, dal nome del fisico Robert Wood che realizzò  un filtro in vetro a base di ossido di nichel che blocca la radiazione visibile ma è trasparente alla radiazione UV. 

L’osservazione della fluorescenza ultravioletta può differenziare e/o evidenziare la presenza di materiali che non risultano chiaramente distinguibili in luce visibile, permettendo talvolta l’identificazione delle diverse sostanze o comunque segnalandone addensamenti in strati o situazioni non omogenee altrimenti non individuabili.

Il fenomeno della fluorescenza riguarda prevalentemente i materiali organici che possono dare risposte diverse (fluorescenze colorate) secondo la loro natura chimica. Generalmente queste fluorescenze aumentano d’intensità con il procedere dell’invecchiamento delle sostanze stesse.

 

Spettoscropia infrarosso

 

L’interazione  energia-materia di strati pittorici con la radiazione del vicino infrarosso (IR), cioè la banda dello spettro elettromagnetico che va dall’estremo visibile rosso fino a una lunghezza d’onda di circa 2.5 μm, può dar luogo a fenomeni ottici ben diversi da quelli osservabili in luce visibile. L’assorbimento, la diffusione interna (scattering) e la riflettanza possono assumere valori molto diversi, con una conseguente variazione di trasparenza dello strato pittorico a vista.

Permette di studiare in profondità il dipinto evidenziando disegni sottostanti o quadrettature, ripensamenti, profondità della craquelure e riconoscere restauri o materiali differenti

Raggi X

L’alto potere penetrante dei raggi X fa sì che questi possano attraversare la materia selettivamente, a seconda dei materiali e della struttura fisica dell’opera indagata (l’assorbimento è maggiore all’aumentare del numero atomico dell’elemento presente). Questo consente di ottenere un’immagine per trasparenza dell’oggetto e in particolare di ciò che si trova al suo interno. Corpi che risultano opachi allo spettro delle onde elettromagnetiche visibili, possono essere del tutto o in parte trasparenti alle onde il cui spettro si identifica con quello dei raggi X. 

L’immagine che si ottiene è formata dalla diversa radiopacità che i materiali presentano ai raggi X, cioè la loro capacità di assorbire radiazioni.I raggi X dopo aver attraversato il corpo in maniera differenziata (in funzione dei materiali presenti e del loro spessore, oltre allo spessore totale dell’opera in esame) impressionano una lastra piana, trattata con un’emulsione simile a quella di una pellicola fotografica in b/n, ma avente una doppia emulsione (una per lato della lastra) per aumentarne la sensibilità.Nel caso della radiografia digitale, l’immagine è acquisita in forma numerica, elaborata e trasferita su pellicola o su altro supporto. La radiografia digitale può essere ottenuta tramite degli châssis con schermi scintillatori a “fosfori di memoria”. Questi schermi normalmente sono di dimensioni pari alle pellicole standard di tipo tradizionale e l’immagine digitale è ottenuta mediante un dedicato scanner a laser.

Metodi invasivi

Prelievo del campione

Viene utilizzato per capire le componenti chimiche dell’opera o del manufatto, oltre che in alcuni casi per comprenderne l’età del manufatto.

 

 Nel caso delle datazioni, risulta particolarmente opportuno parlare di metodi o procedure anziché di tecniche, dal momento che l’informazione prodotta da queste ultime deve sempre essere corredata da conoscenze o ipotesi storiche di contesto.  Facciamo l’esempio di un documento antico di  pergamena o papiro, la procedura tecnica può datare la manifattura del supporto scrittorio, o meglio, la morte dell’organismo da cui è ricavato, ma non l’epoca della redazione del testo. La datazione è, quindi, il risultato di studi che integrano valutazioni storico-artistiche ad analisi scientifiche, assegnando a queste ultime e alle tecniche di misurazione sulle quali si basano una funzione fondamentale ma parziale, mirata alla produzione di dati necessari anche se non sufficienti a stabilire un’età affidabile della manifattura di un bene.

Distruttività e invasività

Si considerano distruttivi quei metodi diagnostici che non preservano l’integrità strutturale e funzionale del manufatto e/o dei suoi materiali componenti; di conseguenza devono essere considerate distruttive tutte quelle indagini che prevedono prelievi di campioni dal manufatto. Sono, invece, paradistruttivi i metodi che, pur richiedendo un prelievo di materiale, permettono poi analisi ripetute sul campione che rimane integro e dunque resta disponibile anche per indagini di altra natura.

 Si definiscono non invasive quelle indagini che non introducono alterazioni dello stato fisico-chimico del manufatto con conseguente accelerazione dell’invecchiamento. Il carattere non invasivo di una tecnica corrisponde alla sua capacità di non alterare l’equilibrio termodinamico del sistema indagato perturbandolo con scambi energetici. Sono, quindi, analisi rigorosamente non invasive soltanto quelle che non interferiscono con i processi di scambio già normalmente attivi nel sistema manufatto-ambiente. Le analisi visive, che non prevedano l’impiego di sorgenti luminose dedicate, sono esempi di indagini non invasive.

Le principali:

 

Fluorescenza ultravioletta

 

L’analisi della fluorescenza Uv viene condotta mediante la lampada di Wood, dal nome del fisico Robert Wood che realizzò  un filtro in vetro a base di ossido di nichel che blocca la radiazione visibile ma è trasparente alla radiazione UV. 

L’osservazione della fluorescenza ultravioletta può differenziare e/o evidenziare la presenza di materiali che non risultano chiaramente distinguibili in luce visibile, permettendo talvolta l’identificazione delle diverse sostanze o comunque segnalandone addensamenti in strati o situazioni non omogenee altrimenti non individuabili.

Il fenomeno della fluorescenza riguarda prevalentemente i materiali organici che possono dare risposte diverse (fluorescenze colorate) secondo la loro natura chimica. Generalmente queste fluorescenze aumentano d’intensità con il procedere dell’invecchiamento delle sostanze stesse.

 

Spettoscropia infrarosso

 

L’interazione  energia-materia di strati pittorici con la radiazione del vicino infrarosso (IR), cioè la banda dello spettro elettromagnetico che va dall’estremo visibile rosso fino a una lunghezza d’onda di circa 2.5 μm, può dar luogo a fenomeni ottici ben diversi da quelli osservabili in luce visibile. L’assorbimento, la diffusione interna (scattering) e la riflettanza possono assumere valori molto diversi, con una conseguente variazione di trasparenza dello strato pittorico a vista.

Permette di studiare in profondità il dipinto evidenziando disegni sottostanti o quadrettature, ripensamenti, profondità della craquelure e riconoscere restauri o materiali differenti

Raggi X

L’alto potere penetrante dei raggi X fa sì che questi possano attraversare la materia selettivamente, a seconda dei materiali e della struttura fisica dell’opera indagata (l’assorbimento è maggiore all’ aumentare del numero atomico dell’elemento presente). Questo consente di ottenere un’immagine per trasparenza dell’oggetto e in particolare di ciò che si trova al suo interno. Corpi che risultano opachi allo spettro delle onde elettromagnetiche visibili, possono essere del tutto o in parte trasparenti alle onde il cui spettro si identifica con quello dei raggi X. 

L’immagine che si ottiene è formata dalla diversa radiopacità che i materiali presentano ai raggi X, cioè la loro capacità di assorbire radiazioni.I raggi X dopo aver attraversato il corpo in maniera differenziata (in funzione dei materiali presenti e del loro spessore, oltre allo spessore totale dell’opera in esame) impressionano una lastra piana, trattata con un’emulsione simile a quella di una pellicola fotografica in b/n, ma avente una doppia emulsione (una per lato della lastra) per aumentarne la sensibilità.Nel caso della radiografia digitale, l’immagine è acquisita in forma numerica, elaborata e trasferita su pellicola o su altro supporto. La radiografia digitale può essere ottenuta tramite degli châssis con schermi scintillatori a “fosfori di memoria”. Questi schermi normalmente sono di dimensioni pari alle pellicole standard di tipo tradizionale e l’immagine digitale è ottenuta mediante un dedicato scanner a laser.

Metodi invasivi

Prelievo del campione

Viene utilizzato per capire le componenti chimiche dell’opera o del manufatto, oltre che in alcuni casi per comprenderne l’età del manufatto.

 

 Nel caso delle datazioni, risulta particolarmente opportuno parlare di metodi o procedure anziché di tecniche, dal momento che l’informazione prodotta da queste ultime deve sempre essere corredata da conoscenze o ipotesi storiche di contesto.  Facciamo l’esempio di un documento antico di  pergamena o papiro, la procedura tecnica può datare la manifattura del supporto scrittorio, o meglio, la morte dell’organismo da cui è ricavato, ma non l’epoca della redazione del testo. La datazione è, quindi, il risultato di studi che integrano valutazioni storico-artistiche ad analisi scientifiche, assegnando a queste ultime e alle tecniche di misurazione sulle quali si basano una funzione fondamentale ma parziale, mirata alla produzione di dati necessari anche se non sufficienti a stabilire un’età affidabile della manifattura di un bene.